Organizzate – e così l’intero Premio – dal Centro Servizi e Spettacoli (CSS), le tre giornate udinesi si sono aperte con la messinscena de La festa di Spiro Scimone (regia di Gianfelice Imparato), testo che aveva vinto l’edizione 1997 del Candoni e che quest’estate ha trovato una produzione nelle Orestiadi di Gibellina dirette da Gianfranco Capitta. Una scelta, questa di ospitare La festa, che certamente imprime una particolare vitalità al Premio, ma prima ancora “premia” Capitta per la fattiva attenzione che nel suo lavoro rivolge al nuovo e la sincera fiducia che gli accorda. Esempio che andrebbe segnalato a quanti, direttori e produttori teatrali, agiscono distratti e timorosi di ogni minimo rischio.

Dopo questa digressione necessaria, torniamo, ora, su alcuni appuntamenti del Candoni 1999, che tra l’altro ha meso a punto delle novità. Oltre al suo spostamento a Udine (nel Teatro San Giorgio), la manifestazione quest’anno si è sviluppata attraverso una serie di iniziative dedicate al teatro friulano, che hanno avuto come base Arta Terme e Tolmezzo. Tra queste il “Laboratorio di scrittura scenica” che ha dato vita ad una particolare forma di scrittura, in progress, sollecitata per l’estensione di uno dei tre testi commissionati, quello di Paolo Scheriani. Con tale modalità creativa e per la sezione “Lavori in corso” l’autore ha confezionato La favola di piombo e pervica (una favola né più né meno), lavorando nel territorio a diretto contatto con la comunità di Arta e ritrovando antiche leggende e fatti di cronache avvenuti tra le montagne della Carnia.

L’altro copione per il 1999 è stato commissionato a Edoardo Erba, dalla penna del quale è uscito Dejavu, una sorta rivisitazione fantastica del mito di Edipo, compiuta attraverso due (più uno) personaggi (un giovane e una donna matura) che, tra sogno e realtà, inoculano negli spettatori il dubbio di incesto. Il testo sviluppa la serietà del suo argomento attraverso battute che lasciano trapelare una sottile vena di comicità, spesso frequentata dall’autore. Erba procede con ritmo pacato e agile conduce l’azione verso l’epilogo, che annuncia – come conseguenza-punizione del probabile incesto – un’esplosione atomica.

Meno convincente Il conquistatore di Siviglia, scritto a quattro mani da Claudio Tomati e Mauro Maggioni. Non tanto per il nucleo tematico e il luogo dell’azione (una caserma di frontiera), che risultano originali, ma quanto per quella mancanza di incisività del dialogo che, data la violenza della situazione, ci si aspetterebbe più vivace. Tutto è trattenuto e le contorsioni mentali del protagonista aiutano poco allo sviluppo di una trama che procede verso un finale “lieto” e improbabile. Il conflitto interiore che accende la vicenda fa comparire anche qui l’immagine di Edipo, in quel bisogno di conoscenza del protagonista (i personaggi sono tre), un ex campione di calcio relegato ai margini di una società civile disturbata – quanto lui – dal bisogno mitizzato di automobile.

Di particolare interesse la sezione del Candoni riservata alla mise en espace del testo vincitore del Playwriting Festival, 51 Peg, opera seconda di Phillip Edwards, che qui sviluppa il tema del razzismo, in un contesto quotidiano a due personaggi. Per l’occasione udinese il testo, con la cura di Ted Craig (direttore del concorso al Warehouse Theatre), è stato letto nella versione bilingue, italiano e inglese, con il raddoppio degli interpreti sulla scena. Una tale impostazione del lavoro ha permesso due differenti livelli di confronto, sul piano attoriale – e quindi nascosto – da una parte, e su quello della “rappresentazione” – e perciò visibile al pubblico, dall’altra. Se il primo riguarda il lavoro dell’attore (che a detta degli interpreti ha portato loro un grosso arricchimento), il secondo investe invece gli spettatori, che hanno così potuto apprezzare l’esperimento di una duplice pièce (tendente per la verità un po’ più verso l’italiano), prodotta dalla modulazione del ritmo delle parole. Nel retrobottega di un negozio di computer Edwards getta due giovani “amici”, uno nero e l’altro bianco, per un piccolo gioco al massacro, trovando proprio in questa ambientazione un lessico attualissimo e descrittivo di una realtà nella quale è facile che molti si riconoscano. (M.S.)