Anno II - n.9 - 03/03/2001

TRAMORTITI DA UNA CATTIVERIA STRABORDANTE
Giancarlo Cobelli scava nella drammaturgia dei due Macbeth presentati a Modena, quello shakespeariano allo Storchi e quello verdiano al Comunale, tirando fuori una visione radicale del male che vuole denunciare ed esecrare

di GIANFRANCO CAPITTA

Modena - Giancarlo Cobelli è una delle poche personalità autorevoli della scena italiana, e a lui Pietro Valenti, direttore di Emilia Romagna Teatro, ha chiesto di realizzare un progetto tanto impegnativo quanto mirato, che scavasse nella drammaturgia di due titoli inesorabilmente legati per quanto assai differenti: il Macbeth di William Shakespeare, e quello che Verdi mise in musica sul libretto di Francesco Maria Piave. E’ nata così, in epoca di rimbombanti e ufficialissime celebrazioni verdiane, la doppia rappresentazione, nella città emiliana, che ha avuto luogo allo Storchi e al Comunale: un evento che, perfino al di là dei risultati scenici, si pone come modello di approccio e di rigore contemporaneo rispetto ai classici e ai loro rapporti, nell’ambito di linguaggi differenti.
Carlo Diappi ha disegnato paralleli e "specchiati" costumi e scene per i due allestimenti, più "stretto" e zoomato quello dell’opera, perché sui lati vi siedono le due parti del coro, a tenere compatto dentro la musica di Verdi lo sviluppo della tragedia, cantata con una grande sensibilità teatrale da Francesca Patané e Antonio Salvadori, sotto la direzione orchestrale di Massimo De Bernart.
Un universo comune e sdoppiato quindi, dove prevalgono sangue e fango, in senso letterale quanto metaforico, tra costumi stracciati e mantelli di pelle sadomaso. Che fa tanto più impressione nella versione teatrale, dove a impersonare il guerriero scozzese e sua moglie sono Kim Rossi Stuart e Sonia Bergamasco, attori giovani e belli, ma già affermati tra i migliori della loro generazione.
Ma anche loro, come tutti gli altri ancor più giovani, sono deturpati da quell’alone di male (e di trucco) che deforma i volti e stria i corpi, anche se esibiti nella loro nudità. Nessuno si salva da quell’apocalisse sgraziata in cui li immerge la visione radicale del male che Cobelli vuole denunciare e ed esecrare (e che ancor più accentua nell’adattamento della nuova traduzione di Masolino D’Amico). Non si salvano neppure le vittime dell’ambizione assassina della coppia, tanto meno le streghe governate dall’Ecate ambigua e sfacciata di Rino Cassano. Manca del tutto la trasfigurazione estetica che Cobelli aveva esercitato su altri intrecci shakespeariani. Qui un senso cupo di colpa e di peccato semina l'orrore su ogni parola, su ogni impostazione della voce, su tutte le ombre che vengono evocate dal buio fiocamente aperto da tagli di luce tra i sipari trasparenti disseminati da Diappi.
Sonia Bergamasco dà alla follia della Lady una ossessività fatta anche di danza e canto, mentre Rossi Stuart si sottopone alla prova coraggiosa di cancellare la propria prestanza per vivere la malattia del male come sindrome senza possibilità di medicina. La loro generosità di attori entra a pieno titolo nella scelta registica di Cobelli, ma è l’insieme di questa cattiveria senza appello e senza argine a tramortire il pubblico, privato, prima ancora che della speranza, di un termine di paragone di valori. Ci si arresta preoccupati davanti a questo strabordare del male, col rischio di rimuoverlo rapidamente come un incubo doloroso, al risveglio di ogni calar di sipario.