Taormina (ME) – Trentadue anni, un capoccione rosa e biondo sopra un corpo da gigante, un sorriso cortese e determinato, proprio come i suoi progetti. Del teatro europeo Thomas Ostermeier rappresenta il volto giovane, energetico, soprattutto quello vincente.
E’ l’unico regista che può dire di essere passato, in soli quattro anni, dagli allestimenti in una baracca alla direzione di un teatro dal passato quasi mitologico, la berlinese Schaubühne. Un passato messo ora in forse dalla ridefinizione dei finanziamenti, che sta facendo di Berlino la più movimentata e “sperimentale” fra le capitali europee.
Le 99 sedie della “Baracke”, il container di legno e lamiera costruito nello spiazzo accanto al Deutsches Theater, sono stati nel 1996 il punto di partenza della spedita carriera di Ostermeier. Ora la direzione della Schaubühne, che negli anni Settanta fu di Peter Stein e che nello scorso decennio ha perso gran parte del proprio smalto, è la sua responsabilità più grande.
<<Ma siamo in quattro a dirigere il teatro – precisa quando lo si intervista – quattro idealisti pragmatici. C’è Sasha Waltz, coreografa, e ci sono i due drammaturghi, Jens Hillje e Jochen Sandig. Una costellazione di idee e di progetti per lavorare anche qui con la stessa audacia che abbiamo messo nel lavoro alla Baracke>>.
A quest’audacia, la giuria del Premio Europa per il Teatro, a Taormina, ha assegnato il riconoscimento che valorizza (anche con un contributo di 20.000 euro) le “Nuove Realtà Teatrali”, titolo condiviso quest’anno con l’italiana Societas Raffaello Sanzio e gli olandesi del Theatergroep. <<Per aver contribuito a dare espressione alle inquietudini delle giovani generazioni offrendone, attraverso il teatro, uno spaccato fedele e pregnante>> dice la motivazione. Naturalmente c’è qualcosa di più di una inquietudine generazionale a fare di questo ragazzone tedesco, nato nel nord del paese, cresciuto in Baviera, e diventato famoso con il suo lavoro a Berlino, il regista cui l’Europa dei teatri guarda con un’attenzione che non si percepiva da tempo.
I nomi degli autori che finora ha scelto per i suoi spettacoli parlano da soli. La forza autodistruttiva dei testi di Sarah Kane (a Taormina Ostermeier e gli attori della Schaubühne hanno presentato Crave, allestito da poche settimane), il sesso consumistico delle vignette teatrali di Mark Ravenhill (Shopping & Fucking), la crudezza e lo stordimento dei sensi di David Harrover (Messer in Hennen), il ribellismo di periferia di Enda Walsh (Disco Pigs). Grazie a Ostermeier è andata dunque in scena quasi al completo l’onda cruda e realista della nuova scrittura britannica, quella che sotto alla ferocia e al cinismo, svela la disperazione di una ricerca che non ha avuto esito, un bisogno incompiuto di sentimento che trova surrogati nella violenza.
<<Cinema e televisione ci hanno abituati a credere che la violenza non ci riguardi mai personalmente>> – dice Ostermeier. <<Io invece ho incontrato spesso quelli che vivono dall’altra parte della società. E quando lavoro su personaggi come loro, sento una specie di responsabilità personale, sento che devo dare loro una possibilità di parola>>. La dichiarazione d’intenti rende plausibile anche la presenza, nel repertorio costruito in pochi anni da Ostermeier, di un inaspettato Brecht (Mann ist Mann).
Ma una scelta di autori non basta a spiegare l’interesse che il teatro di Ostermeier suscita anche tra fasce di pubblico di solito refrattarie alle offerte della prosa. La sua formazione, contemporanea all’impulso scatenato in Germania dalla caduta del muro, è in realtà un mix di esperienze musicali (lui stesso suona il basso), volontariato antimilitarista e antinucleare, passioni e adesioni teatrali che si intrecciano con quelle degli artisti della fotografia, del cinema e della danza. Il risultato, lievitato nei quattro anni di lavoro alla Baracke e diventato presto magnete per un nuovo pubblico, è un teatro dalle forti energie espressive, diretto, liberato da premesse intellettuali, riaffidato alla scrittura degli autori e alla sensibilità emotiva degli attori: le premesse con cui ha assunto l’incarico alla Schaubühne, dove nei primi mesi del 2000 ha allestito Personenkreis3.1 di Lars Norén e Gier (titolo tedesco dell’originale Cr ave di Sarah Kane),mentre già prepara Parasiten di Marius von Mayenburg (debutto previsto a maggio) e Der Name di Jon Fosse (debutto previsto ad agosto).
Presentato al pubblico di Taormina come l’esempio più recente del lavoro di Ostermeier, Gier è una partitura per quattro voci: quattro maniere di essere dentro al mistero di una sola infelicità. Due uomini e due donne sono issati su quattro alti parallelepipedi trasparenti e da lì danno voce a quelle che sembrano le proprie ferite. Piccole parole, confessioni, invocazioni, echi della memoria. La violenza con cui Sarah Kane ha posto fine, nel ‘99 a 27 anni, alla propria vita, le rende dicibili solo attraverso figure musicali. Contrappunto, requiem, improvvisazione ritmica, lied doloroso. Sono sentieri sonori lungo cui seguire il succedersi di questi frammenti di frasi, brandelli di colloqui intrattenuti forse solo con se stessi, e rimontati dopo che un’esplosione sembra averli sparsi su un terreno arido, sul quale l’autrice inglese evidentemente non ha trovato motivi di speranza.