a1n10edu1Napoli – Fresco di restauro, e in occasione della serata, al San Carlo, dedicata al centenario della nascita di Eduardo De Filippo, è stato mostrato il film che lo stesso grande autore-attore trasse, nel 1950, dal suo capolavoro postbellico, Napoli milionaria! (ma, nella trasposizione sullo schermo, il titolo aveva perso l’esclamativo). Proprio al San Carlo, il 25 marzo 1945, a guerra non ancora conclusa, quella straordinaria commedia (o tragi-commedia) aveva visto la luce. Un lustro dopo, i “giorni dispari” cantati da Eduardo avevano raggiunto il numero di sette, contrappuntando, attraverso vicende non sempre e non solo “private”, concentrate nell’àmbito familiare, i travagli e le speranze, le delusioni e le attese, di Napoli e dell’Italia intera, in un periodo tormentato della sua storia.
Il dramma di Napoli milionaria, nella versione cinematografica, si proietta così fino al 1950, che è l’anno stesso di un testo singolare e misconosciuto, portato sulle scene al Festival veneziano della prosa e non più ripreso da quella lontana stagione: La paura numero uno dove si riflette, in un originale disegno, la psicosi bellica variamente diffusa all’epoca, e che avrebbe avuto speciale alimento dall’esplodere di un conflitto armato nella pur remota Corea, dove venivano a confrontarsi i “blocchi” nei quali il mondo era allora aspramente diviso. Anche in Napoli milionaria, il film, si avverte l’incombere d’un tale pericolo, come se la “nuttata” di cui parla il protagonista non sia destinata a “passare” mai.
a1n10edu2Nel film, come si sa, il personaggio centrale viene in qualche misura “sdoppiato”, a Eduardo affiancandosi Totò, attore comico già popolarissimo, e che vediamo atteggiarsi a “finto morto”, incarnando una forma estrema di lotta per la sopravvivenza. Ma di forte rilievo è poi la mescolanza di interpreti professionisti e di gente dei “bassi” partenopei, chiamata ad abitare, letteralmente, uno scorcio di Napoli ricostruito negli studi della Farnesina. Non è futile notare come, mentre Titina appariva, qui, in un ruolo sia pur rilevato di contorno, la principale parte femminile si affidasse a Leda Gloria, che con Eduardo (e con Peppino) aveva lavorato, una quindicina di anni prima, nel Cappello a tre punte di Mario Camerini, oggetto di feroce censura al tempo del fascismo.
A riaccendere, dunque, la discussione non troppo oziosa sui rapporti tra cinema e teatro (o viceversa) può contribuire la rinnovata visione della pellicola eduardiana, restituita nel suo magnifico “bianco e nero” (firmato da un maestro in tale campo, Aldo Tonti) grazie al sapiente impegno di Giuseppe Rotunno, e per volontà di Aurelio De Laurentiis, detentore dei diritti sul film, prodotto, nel 1950, dal capostipite della famiglia, Dino. Un contenzioso si è aperto, purtroppo, con la Scuola Nazionale di Cinema, che avrebbe voluto procedere essa, in prima persona, al restauro. Non vorremmo (sono cose che succedono, in Italia) che da ciò derivasse un’ulteriore difficoltà per la conoscenza di un’opera non marginale del genio napoletano.