GEMELOS, UNA ‘FAVOLA NERA’ DE LA TROPPA

a1n17tro1Polverigi (AN) – Arriva dal Cile ed è un’originale trasposizione scenica del romanzo Il grande quaderno di Agota Kristof, Gemelos presentato per la prima volta in Italia al Festival di Polverigi il 15 luglio scorso. Messo in scena da La Troppa – una compagnia attiva dal 1987 a Santiago e già conosciuta in America Latina oltre che in Europa per i suoi precedenti Pinocchio e Viaggio al centro della terra – lo spettacolo è una “favola nera” dove l’eco della prosa tagliente della scrittrice ungherese giunge attraverso una fantasmagoria di luci, suoni, colori, pupazzi e marionette. Le vicende di due gemelli affidati per necessità ad una nonna arcigna da una madre disperata la quale non può più mantenerli è avvolta, infatti, nella pièce da un’atmosfera surreale che alleggerisce le tensioni fra i personaggi pur mantenendo il ritmo incalzante della scrittura dell’autrice. Agota Kristof, fuggita in Svizzera nel 1956 all’indomani della rivolta anticomunista, racconta la storia “di formazione” dei due bambini con un linguaggio scarno e una struttura circolare in cui i fatti si rifrangono come in un gioco di specchi su uno sfondo segnato dall’ultimo conflitto mondiale. All’ordine della pace subentra il disordine della guerra e la Kristof procede per rimandi incrociati, mentre lo schema lineare del romanzo viene alterato dalle acrobazie temporali man mano che la violenza stessa della guerra semina morte, spazza via affetti personali e legami familiari, costringe le vittime all’esilio e alla fuga.
a1n17tro2Ispirata dallo stile della scrittrice e dalle sue riflessioni sulla crudeltà, il dolore, la solitudine dell’uomo, protagonista di un’epoca che sembra capace soltanto di deformare emozioni e sentimenti, La Troppa crea un allestimento dai tratti fiabeschi teso a catturare l’attenzione dello spettatore con trovate sceniche di forte impatto teatrale. Sin dall’inizio, tutto si svolge all’interno di un piccolo teatrino, reso praticabile su due piani, che viene animato dalla presenza di Laura Pizzarro, Jaime Lorca, Juan Carlos Zagal, di volta in volta nei panni dei gemelli Lucas e Klaus, della loro madre, della nonna-strega o manipolatori di una folta schiera di personaggi minori rappresentati da bambole, pupazzi e marionette. Mescolati agli oggetti e agli antichi trucchi della “scatola nera”, i tre attori danno vita ad un autentico “spettacolo d’illusione” e narrano gli avvenimenti salienti de Il grande quaderno con la medesima maestria dei prestigiatori. Di fronte al pubblico, le azioni e i dialoghi scorrono veloci quasi una mano invisibile tirasse fuori da un cilindro immaginario brevi frammenti di vita dei ragazzi, costretti a fare i conti con una nonna terribile, analfabeta, sporca e avara. Vicini per fisionomia ai più noti Hansel e Gretel, i gemelli scopriranno il mondo con un misto di curiosità e cinico realismo, imparando grazie alla loro prodigiosa perspicacia le regole spietate della sopravvivenza. Si adatteranno agli stenti causati dalla guerra, sopporteranno le angherie della vecchia, rinunceranno a mangiare e a dormire, subiranno in silenzio botte e ingiurie fino a quando non saranno cresciuti e avranno superato tutte le tappe di questo simbolico viaggio iniziatico di conoscenza e ricerca di sé. Un viaggio che, per il suo stesso meccanismo costruttivo, frantuma le unità spazio-temporali della rappresentazione: gli episodi messi in scena rinviano di continuo a luoghi lontani o differenti tra loro e a tempi passati costantemente intrecciati al presente. Inoltre, il distanziamento attore-personaggio – ottenuto, ad esempio, dall’impiego di pupazzi manovrati a vista dagli interpreti – conduce il pubblico oltre il qui e ora dello spettacolo. Dall’umile, ma ordinata e confortevole, abitazione d’origine dei gemelli si passa alla casa sgangherata della nonna; dall’ambiente della grande città, colpita dalle bombe, alla campagna tranquilla e desolata di una provincia dai contorni geografici non definiti. Così come la cucina e la camera da letto della vecchia strega si trasformano di colpo in un fiume, in un bosco, nella piazza e nella chiesa del paese. Luoghi che si riempiono di oggetti piccoli e grandi, di carta e di gesso, di legno e di plastica, collocati sullo sfondo e in primo piano, mossi da sofisticati marchingegni o dalle mani degli attori. Il risultato è uno spazio modellato su una molteplicità infinita di livelli con una visione d’insieme che ricorda le suggestioni del linguaggio cinematografico e le tradizionali invenzioni del teatro per ragazzi.a1n17tro3 All’orizzonte c’è un mulino dalle pale ruotanti, sotto l’acqua del ruscello una trota di legno che sguazza sorretta da fili di plastica trasparenti, sulle colline un postino-burattino scorrazza alla guida di una minuscola bicicletta. Persino i personaggi hanno connotazioni tipiche dell’immaginario favolistico: la nonna è una megera dalla voce roca in abiti trasandati e sempre ricurva su se stessa; i gemelli sono due ingenui ragazzotti rubicondi vestiti con bermuda, bretelle, scoppola e camicia a maniche corte; Labbro Leporino, la scema del villaggio, è una bimba balbettante con codini alla Pippi Calzelunghe, gonnellina e maglietta colorate; il curato, in tonaca nera, è un grassoccio vecchietto un po’ burbero. Sarà a lui che Lucas e Klaus si rivolgeranno per aiutare la madre malata di Labbro Leporino. Votati istintivamente alla solidarietà, essi cercano, infatti, di costruire un mondo a misura d’uomo, si prodigano per le persone a loro vicine (arrivano, addirittura, a comprendere gli assurdi comportamenti della nonna), sono generosi e disponibili finché non subiranno l’ennesima disillusione dalla vita. Verranno a sapere che il prete ha violentato Labbro Leporino, scopriranno che nessuno è disposto ad aiutare un disertore ferito e affamato (un bellissimo pupazzo dagli arti snodabili), assisteranno al sequestro coatto di un commerciante ebreo da parte dei militari nazisti. All’arrivo delle truppe tedesche, nel cielo si librano all’improvviso decine di paracaduti, lo spettacolo si tinge repentinamente di un umore sarcastico. La macchina impietosa della guerra giunge a interrompere la già precaria quiete della campagna, le bombe creano ovunque distruzione e sgomento, la madre di Labbro Leporino non resiste alla malattia, la nonna muore. Nel finale di Gemelos è la realtà a sostituirsi alla rêverie, sono i vagoni sigillati di un treno diretto verso Auschwitz (su una pista circolare, carrozze in miniatura girano a ritmi vertiginosi) a prendere il posto degli ingenui giochi da bambini, è la separazione dei due fratelli a cancellare qualsiasi possibile slancio di amore e buoni sentimenti. Il sipario cala sul saluto di Lucas e Klaus. Allo spettatore resta da porsi una domanda: i ragazzi hanno completato l’iniziazione e temprati come sono possono affrontare qualsiasi ostacolo, oppure la guerra e l’instaurarsi di un regime totalitario li ha privati definitivamente del reciproco affetto? Laura Pizzarro, Jaime Lorca e Juan Carlos Zagal lasciano a ciascuno la propria interpretazione, ma di certo è a coloro i quali si sforzano di cambiare il mondo che va tutta la loro stima e la loro simpatia.