sabato 14 novembre

 

ore 15:00

Mondocane

presentato da Pietro Faiella

testo e regia Pietro Faiella

con Luca Di Prospero e Marco Feroci

scene e costumi Stefano Argentero

suono Pietro Faiella

 

Mondocane è un esperimento di scrittura, linguistico e drammaturgico. Partendo dalla necessità di esplorare il personale rapporto dell’autore con il suo dialetto d’origine, l’abruzzese dell’entroterra appenninico, lo stesso ha cercato di esplicitare quello che ha rappresentato negli anni della sua infanzia e dell’adolescenza quella “parlata”: la violenza. Una violenza urbana, moderna, metropolitana abitava il dialetto che ho vissuto, quello dal quale – afferma l’autore – sono fuggito, che è sempre stato una lingua feroce parlata per ferire, per mettere alla berlina, per minacciare, per aggredire. Questo processo di riappropriazione del tessuto linguistico – continua Faiella – ha prodotto un processo per molti versi assimilabile a un percorso analitico, dove riemersione del rimosso, rapporto di transfert, uccisione simbolica si sono strutturati e configurati come una storia con un plot ben preciso. Il risultato di questo lavoro è stato un testo molto personale che ho provato ad affrontare mettendomi a “distanza“. Ho coinvolto gli attori chiedendogli di cercare una strada per reinventare la mia personale visione di quel dialetto oramai sulla carta. Una versione fisica, corporea, sanguigna, che – conclude Faiella – riportasse in vita il monstrum.

 

Un ragazzo di provincia torna nel paese che anni prima ha lasciato e con uno dei pochi con cui è rimasto amico va a bere un bicchiere al bar. Sulla sua strada incontra Ersilio, muratore pregiudicato, suo antico compagno di scuola elementare. Nonostante il desiderio di sfuggire a quell’immagine di abbrutimento dell’esistenza che si trova di fronte, Pietro non riesce a sottrarsi allo scontro con Ersilio.

Nel secondo quadro Pietro viene spinto con forza dentro la stanza spoglia e sinistra che è il monolocale di Ersilio. Inciampa e si frattura il naso, perdendo sangue. Ersilio lo mette alle strette, vuole che Pietro ricordi e chieda perdono per quel gesto violento compiuto anni e anni fa contro l’allora compagno di scuola. Pietro ricorda il gesto, ma non il motivo.

Nel terzo quadro, lungo una strada abbandonata, sotto un lampione scassato, Pietro entra in scena coperto di sangue e in lacrime. Il suo gesto gli ha acceso il ricordo di un’infanzia segnata dallo sguardo sul mattatoio degli animali di famiglia. Mentre scioglie la litania dei suoi ricordi, un cane gli ringhia contro, minacciando di aggredirlo. Pietro gli parla, gli urla, lo ammansisce e lo fa avvicinare a sé. Quando il cane è ormai nelle sue mani, nell’intento di liberarlo dalla sua condizione di bastardo sofferente gli recide la carotide e lo stesso, come per un’improvvisa e definitiva agnizione, assimilando la sua condizione a quella del cane, si taglia la gola.

 

Pietro Faiella si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma nel 1992 con Studio su Amleto, regia di Orazio Costa. Nel 1993 cura l’ideazione e la messa in scena de Il labirinto di Orfeo prodotto dal CSS di Udine. Nel 1994 recita nella Commedia del poeta d’oro di G. Scabia per la regia A. Marinuzzi. Ecole des Maistres nel 1995 frequentando gli stage di Dario Fo, A. Vassil’ev, A. Arias. Sempre nel 1995 Tra gl’infiniti punti di un segmento di C. Lievi. Nel 1996 inizia la collaborazione artistica con M. Castri recitando in “Trilogia della villeggiatura” di C. Goldoni, Fede speranza e carità di O. Von Horvath, Ifigenia in tauride di Euripide, Quando si è qualcuno di L.Pirandello, Tre sorelle di A. Cechov, Così è se vi pare di L.Pirandello. Collabora di nuovo con Lievi recitando in Sulla strada maestra di Cechov e ne Il nuovo inquilino di Ionesco. Tra gli altri ha recitato in spettacoli di R. Guicciardini, M. Prati, M. Cava, L. Saravo, D. Galasso. Al cinema ha lavorato come attore in Rewind di S. Gobbi, Medicina,i misteri di F. Brocani, Il vestito da sposa di F. Infascelli, Arrivederci amore ciao di M. Soavi. Nel 2005 ha curato la traduzione e la messa in scena della pièce John e Joe di Agota Kristof. Nel 2006 ha adattato due atti unici di Strindberg, Paria, La più forte realizzando il video L’altro è l’incognita. Sempre nel 2006 ha curato la mise en espace di AOI di Takeshi Kawamura al Piccolo Grassi di Milano. Nel 2007 ha realizzato uno studio video adattando Fuorilegge di Lev Lunc. Vuoti spirituali eterosessuali da D.F.Wallace è la performance curata negli spazi Superstudio di Milano per Outis. Nel 2009 ha curato il primo studio di messa in scena di Lunapark di Mario Lunetta.

 

ore 15:40

La gara

Semi cattivi (Massa Carrara)

ideato e diretto da Franco Rossi

con Francesco Cortopassi, Riccardo Monopoli (Matteo Romoli), Roberto Rolla

musiche di Giulio S. Rossi

 

La gara è un progetto di rappresentazione teatrale molto simile ad una “performance artistica” che non va, a scapito della parola, la colonna sonora (eseguita dal vivo) aumenta la tensione proprio nei momenti di silenzio.

La drammaturgia è costruita sul dialogo serrato, con una scenografia essenziale. I simboli e il significato della vicenda scaturiscono proprio dal numero esiguo di oggetti in scena, che,  circondati dal buio, si caricano di significati: una sbarra da passaggio a livello, un uomo che la sorregge da un’estremità, stanca figura umana; e poi le biciclette, retaggio di un Italia passata, in fuga dalle miserie della guerra, con i suoi idoli: Coppi e Bartali, volti di un paese che stentava a partire, che si entusiasmava per la sfida.

I protagonisti dello spettacolo sono due ragazzi stranieri, due amici legati da una passione comune per la bicicletta. Uno spera di vincere la gara ciclistica del paese per protestare durante la premiazione proprio come fecero i celebri sprinter Smith e Carlos alle olimpiadi di Città del Messico, l’altro deve “conquistarsi” il permesso di soggiorno vincendo la stessa gara per conto della sua azienda.

La storia si svolge durante un’uscita d’allenamento dei due ragazzi, che corrono circondati dalla zona industriale della città dove vivono.

Protagonista è anche la notte, una notte strana, onirica, in cui il sogno si può confondere con la realtà. Una realtà che non dà speranza, un sogno che si trasforma in un incubo.

I ragazzi sono a loro agio in quel territorio desolato, perché abitano da quelle parti, conoscono gli odori, i rumori, i tempi, ma qualcos’altro si aggira in quei luoghi, qualcosa di ben più pericoloso di un corvo, una rana o qualche coppietta a fare l’amore… la noia e l’odio… qualcuno si annoia a morte, qualcuno odia a morte.

 

La compagnia Semi Cattivi attiva dal 2005, mette in scena testi teatrali prodotti e diretti da Franco Rossi, con la collaborazione e partecipazione di professionisti e artisti, come il cantante Giovanni Lindo Ferretti e attori del Piccolo di Milano.

Un forte elemento caratterizzante i suoi spettacoli è l’uso delle luci e delle musiche (sempre auto prodotte) per creare effetti e ambientazioni estremamente surreali, un linguaggio espressionista per esprimere concetti che spesso disturbano: la difficoltà dell’uomo nel vedere e sopportare la sofferenza, e soprattutto l’incapacità di reagire di fronte ai soprusi e alle prevaricazioni solo perché giustificati da fenomeni istituzionalizzati.

Come luoghi di rappresentazione utilizza ex siti industriali (segherie, depositi, stazioni, capannoni) o luoghi urbani (sottopassaggi, strade periferiche), poiché grazie alla loro sterile architettura che li pone al di fuori delle coordinate spazio-temporali aiutano a spogliare gli spettatori dalla consapevolezza di trovarsi al centro di un evento organizzato (sospensione dell’incredulità), effetto che viene raggiunto anche con un utilizzo destrutturato dello spazio teatrale.

Le modalità di rappresentazione degli spettacoli tendono ad un coinvolgimento del pubblico nello spazio scenico, in modo da condurre il singolo spettatore a non essere più solo un ascoltatore, ma ad avere una maggiore consapevolezza intellettuale e percezione emotiva, sollecitando la capacità critica individuale.

 

ore 16:20

Finisce per A. Soliloquio tra Alfonsina Strada – unica donna al Giro d’Italia del 1924 – e Gesù.

Lady Godiva Teatro (Ravenna)

un progetto di Eugenio Sideri e Patrizia Bollini

testo di Eugenio Sideri

in scena Patrizia Bollini

voce fuori campo Pierr Nosari

 

Alfonsina pedala, pedala veloce sulla sua bicicletta. Poco importa se i capelli non sono lunghi e vaporosi ma corti, “alla maschietto”… Poco importa se le gambe non sono lisce e snelle, ma tozze e muscolose… Poco importa se tutti la prendono per “matta”… Poco importa se viene vista come un fenomeno da baraccone… Lei corre, sulla sua bicicletta, e pedala pedala pedala. Facile a dirsi, oggi, di una donna che corre in bicicletta, ma meno facile 84 anni fa, precisamente nel 1924, quando Alfonsina Morini, maritata Strada, si iscrive e partecipa al Giro d’Italia. Prima e unica donna a farlo, in quel tempo. Uno scandalo, per quella “corriditrice” che tutti credevano volesse sfidare gli uomini, “i maschi”. Ma Alfonsina voleva solo volare sulle ruote, correre nel vento, arrampicarsi per le montagne. E “il diavolo in gonnella” lo fece. Per tutta la vita, perché per tutta la vita la sua grande passione per le due ruote continuò. Da morirne, a cavallo, a 68 anni, della sua fiammante Guzzi 500 che quel giorno non voleva proprio partire e Alfonsina, determinata e testarda come sempre, non si dava proprio per vinta, e anche quella volta aveva rifiutato gentilmente l’aiuto e spingeva spingeva sulla pedivella per far ripartire la moto, spingeva così forte che si accasciò, sulla sua rombante due ruote, e lì rimase priva di vita, colpita da un infarto. Quando Patrizia mi ha parlato, per la prima volta di Alfonsina, le ho visto gli occhi luccicare. Io sono un uomo, un “maschio”, e credo che – afferma Sideri – non potrò mai capire fino in fondo cosa possa significare per una donna, specie in quegli anni, affrontare la società, seppur sportiva dei maschi. E così ho provato a salire anche io sulla bicicletta delle parole, e a ripercorrere, insieme ad Alfonsina, il suo Giro d’Italia e le sue successive mirabolanti imprese che ne fecero un’eroina del tempo. E ho provato – continua l’autore – a immaginare questa ragazza che, nella solitudine delle salite o nelle lunghe traversate delle pianure afose, sulle strade sterrate, pedalasse e parlasse… parlasse per non sentire la fatica, per non ascoltare chi la osteggiava, per non smollare mai… ecco, avviasse un dialogo con Gesù. Si tratta di un Gesù nei ricordi del Catechismo, un Gesù che sta nel Cielo e nella Terra, nelle cose che la circondano, nel vento che le sbatte contro, nella pioggia che le serra gli occhi, nel sole che la acceca… un Gesù che, come lei, è stato condannato dalla legge dei maschi. Non si tratta di una preghiera, ma di un vero e proprio soliloquio, parole dette nella mente, raccolte nelle gambe e animate dal respiro, affaticato ma felice, di chi – conclude Sideri – non si è mai voluto arrendere. Patrizia Bollini dà voce e corpo a questa incredibile pioniera dello sport femminile, meno nota della coetanea Ondina Valla, ma altrettanto importante nella storia dell’emancipazione sportiva e sociale delle Donne. Patrizia-Alfonsina si racconta, parlando con Gesù, attraverso una Via Crucis in bicicletta, attraverso le lunghe e faticosissime tappe del Giro d’Italia del 1924, e delle altre imprese, dando voce alle storie, agli aneddoti, dando voce al primo marito – recluso e morto in manicomio – e alla madre, Virginia, massaia analfabeta della Bassa Emilia, madre di altri otto figli.

 

ore 17:00

Lap-Shame

Vieri Franchini Stappo (Firenze)

scritto e diretto da Vieri Franchini Stappo

con Anita Zagaria

scene Francesca Leoni

costumi Barbara Bessi

luci Gianni Staropoli

 

L’interprete del monologo è un paradosso, qualcosa cioè oltre l’opinione comune, oltre quei comportamenti, che normalmente ci si aspettano dalle persone. Rosa ha vissuto una vita scevra da comportamenti sessualmente ammiccanti, spinta a farlo dal suo percorso educativo. Percorso educativo particolare, che ha creato un particolare senso di vergogna, un compagno costante per la vita, non ostante i suoi sforzi di nasconderlo, reprimerlo, ignorarlo, senza mai riuscirci.

Un giorno osservando in una ballerina di lap-dance proprio quegli atteggiamenti sessualmente provocanti che considerava volgari e vergognosi, scopre che la persona che ballava sembrava trarne un profondo piacere, una gratificazione dell’ego, dovuta proprio alla semplice animale attrazione sessuale, che il suo muoversi creava negli spettatori.

La ballerina trae un godimento dall’energia del desiderio, dalla brama del sesso che non si può di fatto realizzare, ma solo mentalmente immaginare. Da qui il desiderio di fare la Lap-dance, da qui il riscatto dalla vergogna, da qui la folle disperazione quando le viene detto di non poterla più fare perché troppo vecchia.

Lap-shame è un atto unico inedito finito di scrivere nell’estate del 2009.

La vergogna è così radicata profondamente in ogni essere umano da far pensare che nasca con l’uomo stesso, che stia nella psiche umana al pari dell’amore, la paura, la rabbia, la felicità. Sentimenti presenti nell’uomo, quale animale mammifero, e riconoscibili e identificabili, appunto, anche nei comportamenti degli stessi animali.

Si può dire che Il seme della vergogna viene piantato e ben annaffiato nell’infanzia di un individuo, dopo di che da solo cresce nel giardino della coscienza, un po’ ovunque, qua e là, assolutamente dove gli pare.

 

Vieri Franchini Stappo nasce a Firenze, e dopo la licenza classica si laurea con lode in Economia e Commercio all’Università Degli Studi di Firenze, durante gli studi svolge parallelamente l’attività di fotografo di moda con pubblicazioni su Vogue Italia, Harpers Bazar, ecc. Contribuiscono alla sua formazione fin da giovanissimo i suoi rapporti con Carmelo Bene, amico di famiglia, di cui segue la costruzione di vari spettacoli, scattando anche foto di scena. Uno stage con Nikita Mikalcov perfeziona la sua formazione. Dopo avere girato vari documentari in Italia di cui alcuni distribuiti negli Stati Uniti, si sposta a Roma dove lavora nell’industria cinematografica, in produzione e come aiuto regista. Realizza poi un cortometraggio e un lungo metraggio, iniziando così la sua attività di regista e sceneggiatore.

 

ore 17:40

Virdzina

Associazione Culturale Murmuris (Firenze)

una creazione originale Murmuris | teatro

regia Laura Croce

aiuto regia Eva Bellone

interpreti Luisa Bosi, Francesco Migliorini, Jelena Skuletic

musicheLuigi Attademo (chitarra)

luci Sincopato Service

costumi Francesco Migliorini

 

Virdzina è la storia affascinante e sconcertante di un fenomeno che fino a vent’anni fa era ancora fortemente presente nei villaggi dell’entroterra, in Montenegro, Serbia, Bosnia e in parte anche in Albania. Non nelle grandi città, ma tra le vette aspre e durissime che solo chi ha visto sa cosa voglia dire la solitudine. Una solitudine fatta di vento che soffia tra sassi aridi, erba secca, dove di notte si sentono i lupi e il freddo paralizza. Una terra in cui non è possibile scegliere davvero, non lo è almeno per famiglie numerose non “benedette” da un figlio maschio che come la pioggia che salva viene invocato, come la vita, come il raccolto ricco, come la fortuna. Allora, all’ultima creatura, nata femmina, la terza, la quarta, quella che proprio non ci voleva, si dice no. Non si sopprime, non si abbandona, come accade in altre culture, in altri luoghi. Qui due braccia servono, la legna va spaccata e un uomo, alla morte del padre, deve portare avanti la casa e la famiglia. Si dice no al suo sesso, alla sua identità. La neonata diventa maschio. Basta dirlo, basta volerlo. E pregare san Giorgio che benevolo si farà complice della menzogna, basta fasciare stretti quei seni che non devono crescere, basta non fare domande, basta giurare la propria verginità e rinunciare a ogni vita affettiva e sessuale, basta non badare a quel sangue che una volta al mese va nascosto e ignorato. E poi la natura è prudente e asseconda: la voce cambia, i calli celano le mani gentili, i tratti si induriscono.

Murmuris nasce a Firenze il 24 ottobre 2007 dall’incontro di quattro giovani artisti provenienti da esperienze differenti. Laura Croce, Francesco Migliorini, Jelena Skuletic e Luisa Bosi si riuniscono attorno a un comune progetto scenico e una visione del lavoro attoriale e del pensiero che nutre la loro necessità di fare teatro. Murmuris trova la sua cifra in un universo immaginativo reso concreto dall’attenzione particolare al gesto senza trascurare la parola e nella profonda cura per quei legami sottili che uniscono antico e contemporaneo, nel tentativo di tradurre attraverso il linguaggio scenico complessità immaginativa e concettuale. Dopo il confronto con il mito classico in Studio su Edipo Re partecipando a vari festival nazionali e internazionali (tra cui il Festival di Bar e Kotor in Montenegro) affrontano Sarah Kane e il suo testo più significativo Febbre / Crave, per approdare infine a Samuel Beckett di cui è stata curata la prima nazionale di Compagnia, testo tratto da In nessun modo ancora, edito nel 2008 per Einaudi. «Nella traiettoria che idealmente abbiamo seguito nel lavoro, si legge la cifra stilistica che vogliamo costruire e che stiamo delineando. Un teatro – spiega la compagnia – che parli dell’oggi, ma senza paura di affrontare la parola, la forza grave, il peso necessario che abbiamo cercato e trovato nella tragedia antica, con la sua lingua densa, in cui risuonano le domande di sempre e i fondamenti della vicenda che pertiene all’Uomo in quanto tale. La contemporaneità vibra nel “come”, più che nel “cosa”. La nostra direzione di lavoro è caratterizzata da un’attenzione all’uso del corpo come strumento espressivo primo e purissimo nell’immediatezza del linguaggio che gli è proprio. Approdiamo ora, in continuità, a q