Anno V - n.7 - 20 febbraio 2004

IL PASTO DELLA TARANTOLA

I Cantieri Teatrali Koreja di Lecce al BIT di Milano con una performance che mescola teatro e cibo. Tra l’evocazione di feste popolari, leggende e riti atavici, il sottile piacere di provare sulla lingua i sapori del lampascione e dello scapece

Milano - La fiera di Milano non è propriamente un luogo teatrale, ma per quattro giorni, dal 14 al 17 febbraio, in occasione del BIT, la Borsa Internazionale del Turismo, ha ospitato un’iniziativa realizzata dai Cantieri Koreja di Lecce e da Koinè, a metà strada fra il promozionale e il teatrale.
Ai visitatori stracarichi di depliant turistici, gli occhi abbagliati da gigantografie di paesaggi esotici, storditi dall’inflazionata presenza di longilinee hostess in minigonna, poteva infatti capitare di imbattersi in uno stand dove, su un tavolo, adagiata fra massi di tufo, recipienti colmi di vivande inconsuete, bottiglie di vino e bicchieri, giaceva, come addormentata, una ragazza in camicione bianco dalla morbida, corposa figura mediterranea. Alcuni, cedendo all’invito di un’altra giovane donna vestita più severamente, dal profilo più nervoso, ma non meno bella e non meno tipicamente italica, si sedevano ad un piccolo banco, apparecchiato per una degustazione di prodotti della gastronomia salentina, ed indossavano delle cuffie.
Qui cominciava un’atipica performance (Il pasto della tarantola), con un video che interferiva con la presenza delle due attrici, e a volte le raddoppiava, algido e un po’ incongruo contraltare tecnologico alla carnalità di Rosaria, la ragazza tarantolata, ai colori ed ai profumi terragni dei cibi allineati sul tavolo, che venivano illustrati, con l’evocazione di feste popolari, di leggende e riti atavici. Il sottile piacere di provare sulla lingua i sapori del lampascione, dello scapece (pesce marinato con lo zafferano), del vino, dei pomodori secchi, degli africani (del colore del tufo, di zucchero e tuorlo d’uovo), si mescolava ambiguamente con la solare sensualità della ragazza (anche lei munita di cuffia), che lentamente, al suono del tamburello, usciva dal suo torpido sopore, e cominciava a danzare, con movenze apparentemente scomposte, ma gravide di un’inquietante energia.
Dopo una quindicina di minuti, questo gradevole interludio, sospeso fra reale e virtuale, si concludeva. I visitatori deponevano le cuffie, raccattavano la sporta dei loro depliant, e tornavano ad immergersi nell’alienate frenesia della fiera milanese. (Claudio Facchinelli)