Anno IV - n.13 - 4 aprile 2003

FORME DI LAVORO ARTISTICO

A Bologna parte "Doing" che Xing dedica allo spettacolo contemporaneo. Il festival si snoda in tre luoghi diversi, nei quali realizza dispositivi spiazzanti che aprono strade nuove alla percezione e alla riflessione. Le perdite di equilibrio dell’austriaco Erwin Wurm, accanto alle "cinquantasette cadute" di Kinkaleri e all'esibizione del performer italo-tedesco Marco Berrettini che trasporta in una folle azione dadaista ravvicinata dentro gli stereotipi e la passione di essere italiani

di MASSIMO MARINO

Bologna - All’atto del guardare è dedicato “Doing”, festival internazionale dello spettacolo contemporaneo, organizzato da Xing a Bologna. La formula “doing” sottolinea propriamente il fare, forme di lavoro artistico che mettono in discussione la rappresentazione per portare in scena la realtà di corpi inseriti in dispositivi spiazzanti, che intendono aprire strade nuove alla percezione e alla riflessione. Allora il guardare diventa fondamentale: attraverso la performance o spettacoli intessuti di discipline diverse, spesso in formati fuori canone, si intende straniare i meccanismi dell’attesa, dell’ascolto, dell’attenzione, sfasare il rapporto fra realtà e sua rappresentazione. Lo sguardo di un fare asciugato dalla produzione di senso traslato, il peso e il brusio della presenza intendono riaprire i canali di osservazione del mondo, per trovare strano quello che ogni giorno lasciamo correre come tollerabile, come consueto.
Questo fare e questo guardare, un fare che risveglia il guardare, mette in discussione un’esistenza, una realtà, costruite sul vuoto, sulla mistificazione. Seduti, sprofondati nelle nostre comode poltrone, ci ribaltiamo, all’improvviso, come nei loop sulle rovinose perdite di equilibrio dell’austriaco Erwin Wurm, trasmesse a Fabrica Features o prima degli spettacoli del sabato all’ex Bologna Motori. Il festival si snoda in tre luoghi: videoinstallazioni nel sito espositivo di Benetton in via Rizzoli, performances a Raum, il nuovo spazio aperto da Xing nel cuore di Bologna, spettacoli nei capannoni industriali di via Donato Creti 24. In video Kinkaleri ci ricorda con West, cinquantasette cadute di persone diverse in vari punti di Parigi, l’incidente che incombe: il gruppo fiorentino evoca le cadute di grattacieli o i lanci di bombe, l’attimo in cui la figura si accascia e forse il respiro si ferma, le catastrofi sull’orlo delle quali continuiamo la nostra vita quotidiana. Su un campo lunghissimo la francese Associazione Edna scompone la figura umana dal suono e dalla voce creando un affascinante dispositivo di visione di scene di vita quotidiana che si trasforma, lentamente ma anche per accelerazioni imprevedibili, in atto fortemente poetico. Il performer italo-tedesco residente a Parigi Marco Berrettini ci trasporta in una folle azione dadaista ravvicinata dentro gli stereotipi e la passione di essere italiani. Sono alcuni degli eventi multiformi di questi giorni capaci di spiazzare, di aprire imprevisti punti di fuga e di discussione.
Vincent Dupont di Edna con Jachères allontana la visione e individualizza l’ascolto. Il suono si percepisce in cuffia, con un’eco di altri rumori trasmessi direttamente nell’ambiente. Le azioni di un uomo e una donna in un interno domestico sono scandite, in lontananza, dall’accendersi e dallo spegnersi di luci, da colorazioni accese, da giochi di ombre, da cambiamenti di postura nello spazio. Attraverso una successione di tableaux vivents e una colonna sonora che evoca rumori, stridi, ma anche voci, suoni, preghiere, sommessi sfondi naturali, si compone un trascorrere di interni borghesi, quotidiani, svuotati, votati a una ripetitività che ghiaccia, che annulla ogni vitalità. Un infinito trascinarsi che all’improvviso diventa insopportabile, quasi un salto in un’estasi, in un sogno, in un desiderio diverso, un pianto, un’apertura. L’ombra, lo sfondo acceso verde smeraldo, le luci rosse, le stesse posizioni dei corpi nello spazio, coreografia in movimento per quadri successivi, diventano un pullulare di immagini, di lanci verso un altrove, mentre i corpi escono dalla scatola ottica e si dirigono in direzione del pubblico, lentamente, per dire un testo di attesa, di smarrimento. La visione moltiplicata e distanziata, teatralizzata o forse trasformata in quadro visivo, in schermo, si ricompone in una scheggia di verità che infrange la forza del meccanismo. Fra le due regie sonore, a metà strada fra noi lontani e il quadro, alla fine gli interpreti, sottili, fragili, circondano un nudo materasso matrimoniale, lo guardano, e prima che vi giacciano le luci svaniscono, intorno al vuoto, all’assenza, al dolore. Resta nel buio, prima degli applausi, una forte ghiaccia emozione.
Diversamente sulla vicinanza gioca Marco Berrettini con Piccoli Robertini, una performance composta con altri italiani in Francia per parlare d’Italia da vicino e da lontano, costruendo azioni personali su un’ispirazione musicale di Robert Wyatt. Inizia con un funerale la versione che abbiamo visto noi di questo spettacolo diverso in ogni occasione, un funerale a un computer che arriva a mimare i rituali del lutto “all’italiana”. Si precipita in un irresistibile gioco a schiaffeggiarsi a tre, senza partecipazione, in canzoni e canzonacce oscene, in baci in bocca appassionati durante un ballo travolgente e in altre azioni che forano, con ironia ma anche con passione, lo schermo fra performer e spettatore, fra parte e essere. Quello che è in ballo è l’atto teatrale, sempre: si vuole richiamare alla realtà, a quel corpo che agisce, a quell’unicum esistenziale che è il soggetto, con le sue responsabilità, i suoi errori, i suoi umori, i suoi tempi e ritmi vitali. Una rottura formidabile è la scena del “sogno”, in cui Berrettini svolge azioni semplici, funzionali, fa partire la musica, sgombera un tappeto, e le racconta alla sua partner come se fosse un sogno narrato allo psicanalista, come se guardasse un proprio agire irreale. Si rovescia, si forza, si può farlo, questa realtà e la si sottolinea come l’unica, per quanto alienata, che abbiamo. Una finzione vera. Un atto di volontà e di rappresentazione e di pulizia e scarnificazione. Con Berrettini in maglietta Ferrari sono in scena Chiara Gallerani e Gianfranco Poddighe, presenze capaci di mettersi totalmente in gioco in un’operazione di sottile ed efficacissimo terrorismo percettivo.

Sabato 5 Marco Berrettini presenta Blitz negli spazi dell’ex Bologna Motori di via Donato Creti 24. La prossima settimana il festival si conclude con le installazioni di Bobby Baker a Fabrica Features, con una performance di Fanny & Alexander e con la presentazione di Il corpo sottile - un libro edito dalla Ubulibri dedicato alla nuova coreografia europea e in particolare agli artisti che hanno partecipato alle precedenti edizioni del festival (l’11 alle 17) - a Raum, con lo spettacolo Mas distinguidas with Anna Williams negli spazi dell’ex Bologna Motori. Info 051.331099