Anno III - n.36 - 11 ottobre 2002

MEMORIE OPERAIE, DOVE VIGE L'IMPARZIALE

Ascanio Celestini porta Fabbrica in una sala del Museo Piaggio di Pontedera per Generazioni festival. Qui la sua ricerca sul "Tempo del lavoro" si riflette nel luogo che ospita lo spettacolo. Un'opera dai contenuti strazianti e sorprendentemente compatta, risulto di un processo di sintesi eccezionale. E straordinario è l'escamotage della lettera alla madre che il protagonista-narratore scrive cinquant'anni dopo

di Mariateresa Surianello

Pontedera (PI) - Sono riconoscibili all'interno della narrazione alcuni brani già ascoltati lungo il percorso verso Fabbrica. Pezzi usciti da "Il tempo del lavoro", il laboratorio che Ascanio Celestini è andato proponendo negli ultimi mesi in giro per l'Italia, dilatati in certe occasioni quasi a farne spettacoli a se stanti, ma che in realtà erano solo esiti provvisori di una ricerca ora approdata, appunto, a Fabbrica. Anche se la vera natura di questo spettacolo parrebbe di work in progress, un'opera in continuo divenire per la quale l'autore difficilmente potrà trovare la parola fine. Tante sono le storie che vi compaiono e che lì si intrecciano, si perdono e poi si ricongiungono. E ascoltare il racconto di Celestini negli spazi museali della Piaggio di Pontedera per Generazioni festival rende lo spettacolo di una concretezza straziante, sul piano dei contenuti, e sorprendentemente compatto sul piano formale, risultato di un processo di sintesi eccezionale, che dall'inizio alla fine intesse materiali della memoria operaia senza mai mollare il filo conduttore della narrazione.

Celestini è autore di impegno civile e di denuncia sociale - e in quanto tale lo si è apprezzato in diverse occasioni, non solo col monologo sull'eccidio delle Fosse Ardeatine (Radio Clandestina, forse il suo lavoro più conosciuto e di maggior successo), ma si pensi a La fine del mondo quando racconta delle migrazioni italiane e della disperata solitudine dei congiunti che restano in un'attesa infinita. Ma ciò che lo caratterizza è una sorprendente capacità di lavorare sui personaggi, inventandone di fantastici a partire dagli elementi incontrati nelle sue ricerche, che vanno poi a popolare con le loro tranche de vie - come "sopravissuti" o redivivi di tragiche vicende - i suoi racconti teatrali. Un raro esempio di individuo capace di ascoltare l'altro e farsi portavoce - verrebbe da dire - della "ragione dei giusti", dei diseredati, degli sfruttati. Sono sempre donne e uomini del popolo con la loro semplicità e il loro bagaglio di ingiustizie subite i personaggi che Ascanio privilegia nelle sue creazione.

Anche in Fabbrica ogni passaggio appare strumentale alla denuncia delle condizioni di lavoro e di vita degli operai, ma questo suo punto di vista è come alleggerito, eppure evidenziato, dalle fantasticherie che inietta nel racconto, fino a servire allo spettatore la Storia su un piatto d'argento. L'invenzione drammaturgica della lettera è straordinaria, quell'unica lettera alla madre che il protagonista-narratore ha mancato di scrivere in quel solo giorno, il 17 marzo del 1949, serve perfettamente allo scopo del raccontare. In prima persona, in quanto testimone, e spesso protagonista, di fatti che non si trovano nei libri di storia e che Celestini è andato a ricercare luogo per luogo, nei luoghi del lavoro.

L'attore-autore romano inizia così il suo spettacolo, facendolo coincidere con l'incipit dell'epistola mancata che il protagonista si appresta a scrivere alla madre più di cinquant'anni dopo quel marzo del 1949. Un <<cara madre>> sussurrato davanti a una scenografia poverissima, qualche fievole lampadina attaccata a una griglia di legno e una sedia. E subito, con le iterazioni tipiche della sua scrittura, Celestini trasporta lo spettatore in una sorta di realtà separata che è quella della fabbrica, in una società contadina che idealizza quel luogo come unica possibilità di riscatto sociale. E invece... Chi narra oggi è disincantato, l'operaio che ha trovato le parole per scrivere alla madre ha la consapevolezza del tradimento subito. Viaggia lungo tutto il Novecento Ascanio, ma mantiene alta l'attenzione sul nostro contemporaneo, accompagnato da Fausto il capoforno, figlio e nipote di operai di quella stessa fabbrica. Parla del fascismo e dell'arroganza di Pietrasanta, il padrone. Di pezzi di corpo che si perdono per incidenti sul lavoro. Come la gamba di Fausto, liquefattasi davanti all'altoforno, una tragedia che gli ha permesso però di mantenere il suo posto in quella fabbrica. Ma racconta anche dei corpi devastati dal mercurio, e celati nel cuore segreto della fabbrica, e dell'imparziale (che alla Piaggio è ancora presente - ricorda Celestini), il pulsante che ogni operaio all'uscita del turno deve premere. Se si accende la luce rossa il lavoratore viene perquisito. Con la luce verde invece passa liscio, per questo - sottolinea Celestini - si chiama imparziale. Ma parla anche della bellissima Assunta che <<c'ha tre zinne>>, un altro segreto custodito dai morti della fabbrica.

E sono tante le cose che non si potrebbero raccontare e che invece il narratore svela nella sua epistola tardiva, resa palpitante da quest'aura di segretezza che le aleggia intorno. Fiumi di parole che a Generazioni trovano sfogo anche in quella sorta di prologo a Fabbrica, presentato negli spazi esterni del Museo Piaggio dai ragazzi che nella scorsa primavera hanno seguito la tappa di Celestini lì a Pontedera Teatro. Altre storie, altre esistenze dimenticate di lavoratori, uomini e donne che emergono con tutto il loro vissuto nel "Tempo del lavoro" di Ascanio Celestini.