Anno I - n.22 - 14/09/2000

QUEL SIMONIACO DI BONIFACIO VIII
Lo schiaffo di Anagni, scritto, diretto e interpretato da Mario Prosperi, ha chiuso la settima edizione del Festival del Teatro Medioevale e Rinascimentale di Anagni

di LETIZIA BERNAZZA

Anagni (FR) - La settima edizione del Festival del Teatro Medioevale e Rinascimentale di Anagni, diretta da Federico Doglio, si è conclusa con un originale lavoro di Mario Prosperi sulla figura di papa Bonifacio VIII. Lo schiaffo di Anagni, questo il titolo dello spettacolo rappresentato in prima mondiale il 9 settembre scorso (con una sola replica il 10 settembre), ha fatto cadere il sipario su una kermesse che per diciassette giorni ha visto alternarsi nel piccolo centro laziale pièce italiane (Bertoldo di Dino Desiata e Ambrogio Sparagna, La rappresentazione di Santo Alesso della Compagnia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, Il gatto con gli stivali di Elisa Caldironi e Alberto Canepa) e straniere (Aventuras de Don Quijote del gruppo spagnolo El Retablo, Farces et Attrapes del francese Theatre en Stock), riletture di opere classiche e concerti, cicli di conferenze e un interessante convegno ("Martiri e santi in scena") dove sono intervenuti studiosi del teatro, storici della religione, dell’agiografia e della letteratura spirituale, provenienti da tutta Europa.
Lo schiaffo di Anagni - commissionato a Mario Prosperi in occasione del Giubileo 2000 dallo stesso Comune di Anagni che vanta il titolo di "città dei papi" - ruota intorno al personaggio di Bonifacio VIII, personalità aspra e tormentata, ma dotata di incredibile intelligenza e di indomabile coraggio che seppe contrastare in ogni modo i tentativi del sovrano francese Filippo IV di limitare, se non addirittura di annullare, la libertas ecclesiae. L’opera di Mario Prosperi (anche regista della messinscena) punta i riflettori sulla politica del pontefice e ricostruisce con dovizia di particolari storici il conflitto fra potere laico e potere religioso, fra la volontà di Filippo il Bello di indebolire la curia romana e di trasferire la sede papale ad Avignone e quella del neo-eletto di difendere l’autonomia ecclesiastica e la supremazia della Chiesa sullo Stato.
La vicenda prende le mosse da Parigi: la pretesa reintegrazione sulla cattedra di Pamiers del vescovo Bernarde Saisset voluta da Bonifacio VIII e la proclamazione della bolla Unam sanctam del 1302, con la quale si riconosceva l’assoluta superiorità del potere spirituale sul potere temporale, scatenano una violenta reazione del re di Francia che risponde con un’intensa propaganda anti-papale. Diciassette attori, selezionati e poi preparati da Mario Prosperi con un laboratorio svoltosi per diversi mesi ad Anagni, vestono i panni di Celestino V, dei frati degli ordini minori ostili a Bonifacio VIII, delle guardie, dei servi, tutti rigorosamente in costumi d’epoca e protagonisti di belle scene corali che introducono lo scontro diretto fra il re e il papa. Uno scontro violento, annunciato nella capitale francese e conclusosi ad Anagni dove una delegazione di Filippo IV occupa il palazzo pontificio e cattura Bonifacio VIII.
Nello spettacolo, le azioni si succedono a ritmo frenetico e sono le battute serrate dei personaggi a informare lo spettatore sui cambiamenti spazio-temporali della rappresentazione, mentre è dal timbro vocale e dalla gestualità dei due attori principali (Corrado Russo interpreta Filippo il Bello, Mario Prosperi Bonifacio VIII) che si delinea la fisionomia collerica, sfrontata, spregiudicata del papa, e il carattere audace, determinato, arrogante del giovane re di Francia.
Entrambi si fronteggiano a colpi di missive, si adoperano per trovare alleati, si servono delle loro cariche per distruggersi a vicenda. Filippo IV, dopo aver abilmente raccolto e architettato prove dell’eresia, dell’adulterio, della sodomia e della simonia del pontefice, cerca di far convocare un concilio al fine di giudicare il suo operato; Bonifacio VIII, di contro, sfodera l’arma della scomunica per detronizzare il sovrano e riaffermare il primato della Chiesa. Corrado Russo e, soprattutto, Mario Prosperi sottolineano con un’imponente presenza scenica e uno stile linguistico ricercato (la retorica di molti dialoghi e monologhi è volutamente espressa dall’autore) la superba caparbietà delle due dramatis personae: le parole pronunciate quasi sempre in modo altezzoso, gli sguardi torvi e gli ampi movimenti delle braccia, che sembrano in alcuni momenti occupare l’intero palcoscenico, ne fanno gli unici artefici del futuro assetto europeo. Intorno ad essi, una folta schiera di personaggi minori - remissivi e accondiscendenti - prova a conquistarsi il favore dell’uno o dell’altro con ostentata compiacenza. Tranne Celestino V che preferisce l’eremitaggio agli intricati giochi di palazzo, ci sono giovani fanciulle intente a soddisfare la brama sessuale di Bonifacio VIII; vecchi prelati disposti ad ignorare i costumi libertini del pontefice pur di ottenere privilegi; esponenti di ricche famiglie nobiliari (Colonna ed Orsini) che sostengono la posizione anti-papale di Filippo IV per consolidare il loro dominio politico. Mario Prosperi riesce a dipingere con estrema precisione la società dei primi anni del secolo XIV senza rinunciare alle trovate comiche che contribuiscono di tanto in tanto ad allentare la tensione come nella scena in cui Bonifacio VIII, a letto con una inesperta donzella, si lancia in discorsi sulla verginità e sulla sodomia o quando inveisce contro Dante (chiamato simpaticamente "nasone") il quale nell’Inferno lo pone nel terribile girone dei simoniaci. Soltanto nel finale, la rappresentazione si tinge dei colori della tragedia: sequestrato e umiliato (il pontefice pare avesse ricevuto persino uno schiaffo, il famigerato "schiaffo di Anagni") dai fedeli del re, Bonifacio VIII si lascia morire per l’ingiuria subita. Sul palcoscenico disadorno (pochi pannelli colorati sono nella scenografia di Renato Mambor i luoghi simbolici dell’azione), allestito all’aperto di fronte alla facciata della cattedrale di Anagni, la morte del papa si consuma nella solitudine di un uomo privato della sua dignità sulle note metalliche delle musiche di Giorgio Monari.