7 Luglio 1999

LA SOCIETAS RAFFAELLO SANZIO IN VIAGGIO TRA LE PAROLE DI CELINE

di Mariateresa Surianello

Roma - Arriva in forma di concerto questo Voyage au bout de la nuit che la Socìetas Raffaello Sanzio ha presentato nel giardino di Villa Medici ospite di Romaeuropa Festival (l'11 sarà al Festival di Santarcangelo, per raggiungere, poi, quello d'Avignone, dal 15-21 luglio). Un debutto preceduto da una buona dose di anticipazioni e di curiosità, prodotte sia intorno alla questione dei diritti d'autore sia intorno alla compagnia, della cui esistenza finalmente, dopo Giulio Cesare, si sono accorti in molti. Proposto nel programma di Romaeuropa come appuntamento musicale, lo spettacolo del gruppo di Cesena entra nel testo di Louis-Ferdinand Céline estirpandone personaggi e flusso narrativo, fino a lasciarne visibili - anzi sottolineandoli verbalmente e visivamente - solo i nodi tematici del monumentale romanzo, del 1932. E sono proprio "la guerra", "il bordello", "l'Africa", "l'America", "la medicina" e "la Fiera di Batignolles", estratti come blocchi dall'epopea del protagonista Bardamu-Céline, a fornire la griglia di sviluppo del concerto.
Sul palcoscenico questa volta svuotato da quegli intriganti e studiatissimi apparati scenografici, che tanto affascinano gli spettatori della Raffaello, regna sovrano il suono, come se il lavoro avesse voluto ricalcare le orme di Céline stesso, quella sua ricerca di un linguaggio efficace e vivo. Solo due schermi rotondi, illuminandosi di immagini fanno da fondale cangiante alla messinscena.
Su questa griglia tematica si snodano i settanta minuti di spettacolo, durante i quali la partitura drammaturgica di Chiara Guidi viene riprodotta dalla modulazione delle voci degli attori, che si alzano, si abbassano, gracchiano, sussurrano e ansimano, in falsetto o piene, producendo un suono - a tratti polifonico - e un ritmo che conduce lo spettatore verso l'abbandono del significato delle parole. Ma questa parola significante trova un accompagnamento e una sottolineatura nella base registrata che erutta rumori, suoni e voci dagli altoparlanti e che per tutto il tempo impegna il regista Romeo Castellucci. Collocato dietro ad un muro di macchinari, posti sulla sinistra della scena, Castellucci traffica per comporre un sonoro disomogeneo, disequilibrante e spesso fastidioso, come quando si distinguono, in un crescendo del volume, raffiche di pallottole mescolate a fragore di elicotteri o terribili versi d'animali.
Quello che resta è una "musicalità" recuperata tra le vestigia dei mali procurati dall'individuo umano sui suoi simili e nel mondo, a tratti esasperante al limite della sopportazione, ma altre volte coinvolgente per il rigore dell'esecuzione. Un rigore che comunque lascia il sapore dell'incompiuto, quasi fosse una prova aperta nel cammino verso "la messinscena", nella misura in cui esaspera, rendendolo di particolare rilevanza - questo sì - il solo lavoro sulla voce dell'attore.
Le immagini, attinte dalla Cineteca di Bologna, documentano la Grande Guerra e poi la pornografia di inizio secolo e la terra d'Africa colonizzata ma, scorrendo su uno dei due schermi nel fondo della scena, non forniscono un convincente contrappunto visivo alla sinfonia verbale. Solo quando si arriva all'"America", dopo cinquanta minuti di spettacolo, la parte destra della scena lascia apparire una fila di zampe meccaniche che battono sul palco, mentre un vecchio filmato della fabbrica Ford passa davanti agli occhi degli spettatori. Quelle sedici zampe che percuotono il palco sembrano, allora, altrettanto minacciose dei fumi delle ciminiere e degli stantuffi del capitalismo galoppante che passano sullo schermo. Così, anche il degrado, la miseria, l'abiezione, il terrore - e quant'altro di "basso" governa l'umana esistenza - del céliniano Viaggio al termine della notte, compaiono improvvisamente sul finire del concerto. Tra immagini di animali sgozzati a ripetizione e un crescendo sonoro sempre più insopportabile si va verso "il termine" delle parole-suono. Chiara Guidi smette di dirigere la sua partitura e il tavolo intorno al quale i quattro attori in scena avevano agito viene rispostato verso il fondo. Anche l'animale che ansimava dall'inizio in mezzo al palco viene trascinato fuori scena, mentre tutto volge alla calma. Fino al silenzio. Allora è Céline stesso a guadagnare lo spazio scenico. L'attore entra muto e così resta, gesticolando accanto ad un pappagallo appollaiato su un trespolo. La parola è giunta al suo "termine".